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«Il fatto di essere viva non è mai stato sufficiente ad appagarmi»

La vita di questa donna è lo spettacolo più bello, è portato in scena al Teatro Kismet dalla regia di Carlo Bruni. Quest’opera assolve al compito del teatro: è un meraviglioso viaggio nella vita di un’artista in cui è racchiusa una verità ovvero essere capaci di essere séstessi per ottenere la libertà e la felicità, un inno alla vita. La protagonista ormai in punto di morte ripercorre con il suo maggiordomo - forse la rappresentazione dei suoi ricordi - il passato. Dagli inizi della sua carriera fino alla chiusura della sua maison. Aneddoti, incontri, emozioni, personaggi, si susseguono velocemente senza sosta. Il tempo scade ma la morte non è la fine, come la nascita non è l’inizio, noi nasciamo e moriamo più volte nella nostra vita, così nel breve tempo che ci viene concesso passa la nostra esistenza.

Ripensando alla vita di Elsa Schiaparelli ho pensato al concetto di bello.

Cos’è la bellezza? Una definizione l’ha data Paul Valéry.

“Définir le beau est facile: c'est ce qui fait désespérer.”

La bellezza la riconosciamo dalla schiavitù dei nostri sensi nei confronti dell’inafferrabile, dell’inspiegabile, dell’indecifrabile, dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande. La bellezza, come il demonio, si nasconde nei dettagli e nei secoli è stata nascosta e oscurata perché difficile da controllare e da possedere. Significa dar forma alle paure, identificarle e trasformarle nella pura essenza del nostro spirito. Ogni essere umano possiede nel suo animo la bellezza, anzi, dirò di più, la bellezza appartiene ad ogni cosa, bisogna saperla cogliere, bisogna lasciarla libera di esprimersi.

Gli animi liberi sono capaci di scardinare le regole e di cambiare il gusto del bello ad esempio attraverso la provocazione.

Negli anni ’30, a Parigi in rue de la Paix, c’era la maison che più di tutte incarnò questo desiderio di libertà di essere. Elsa Schiaparelli fu la più audace stilista dell’epoca, l’unica sua rivale fu Coco Chanel, entrambe cambiarono non soltanto il modo di vestire, di indossare, un abito ma il modo stare al mondo, lo fecero in modi diversi. La bellezza per Elsa era una scelta, ha sempre un costo, uccidere o non uccidere il baco da seta prima che diventi farfalla? Il suo estro era un grido all’emancipazione femminile, la sua creatività un invito ad osare, ad avere coraggio. Il suo destino era scritto nelle stelle, in special modo nell’Orsa Maggiore portata sulla guancia sinistra.

Riuscì a comprendere il periodo di rottura in cui viveva.

La Parigi del primo dopoguerra pullulava di vita, di voglia di riprendersi i propri spazi. C’era la volontà di tornare a vivere dopo le ombre della Grande Guerra. Qui conobbe le più celebri menti dell’epoca, la Ville Lumiere era la città più influente del mondo e chiunque avrebbe voluto sperimentare, desiderare, scoprire, gustare, inventare, divertirsi e semplicemente trovare una passione convergeva nei caffè, nei salotti, nelle botteghe, sul lungo Senna, tra i boulevard, nei vicoli più misteriosi, tra le vigne di Montmartre.

Suo grande amico fu Salvador Dalì, tra i due nacque un’esplosione artistica, diedero vita a veri e propri capolavori surrealisti con qualche metro di stoffa, un’aragosta e qualche foglia di prezzemolo e poi ancora sperimentò con Magritte, Man Ray, Beaton, Horst e Picasso le dedica un quadro che lei conserverà per tutta la vita: raffigura una colomba e un corvo, simboli esoterici del dualismo, in cui la stilista ritrova una riflessione sulla propria anima.

La sua condizione sociale - lei nata in Palazzo Corsini a Roma da Giovanni Schiaparelli, direttore dell’Accademia dei Lincei, Rettore e professore di arabo all’Università di Roma, e madre napoletana, con origini medicei – le imponeva restrizioni e condizioni, lei avrebbe voluto fare l’attrice o la scrittrice di poesie, la sua prima raccolta di versi ebbe notevole successo anche oltralpe. Elsa avrebbe voluto essere libera di volare, avrebbe voluto essere libera di seguire i suoi sogni, di realizzare i suoi desideri e tutti i suoi traguardi, la sua notorietà, la sua fama furono il risultato di enormi privazioni.

Sua figlia abbandonata in un collegio, l’impossibilità di sposarsi, la guerra e la povertà. Elsa è stata una delle più grandi donne del Novecento perché ha saputo rialzarsi dopo ogni caduta, non si è mai arresa alla vita, anzi ha sempre cercato di “ricucire” gli strappi.

Grazie per l’attenzione,

Antonio.


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