Dispera e disperando muori!
- Antonio Santamato
- 8 feb 2019
- Tempo di lettura: 2 min
“Ambire alla corona sarà il mio paradiso
e considerare, finché vivo, questo mondo solo un inferno.
Eppure io non so come ottenere la corona
poiché molte vite stanno tra me e il mio obiettivo:
ed io, come fossi perso in un bosco spinoso,
lacerando le spine e lacerato dalle spine,
cercando la via e allontanandomi dalla via,
non sapendo come trovare il cielo
ma faticando disperatamente per trovarlo,
mi tormento per conquistare la corona inglese
e da quel tormento io mi libererò
o me ne uscirò a colpi d’ascia insanguinata.”
Ieri sera e fino a domenica al Teatro Abeliano va in scena Riccardo III. Questa è tra le opere più famose di William Shakespeare e, secondo gli studiosi, venne composta presumibilmente nei primi anni Novanta del '500, a rappresentarlo c’è la compagnia Arca Azzurra Teatro, regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi. La scenografia da ospedale psichiatrico, una sedia a rotelle, forse il trono, e una teca macabra con i teschi delle vittime della perversione umana. La trama immensa è messa in scena da tre uomini che, vestiti in modo impeccabile come i più grandi criminali, si alternano magistralmente nella tragedia tra i vari personaggi femminili e maschili.
Per ottenere la corona, Riccardo (fratello di re Edoardo IV) è disposto a tutto. Descritto come uomo crudele, deforme, dotato di una mente perversa e di una sete di potere sfrenata, alla morte del re il tremendo personaggio di Shakespeare assume il ruolo di reggente, in attesa che il legittimo successore raggiunga la maggiore età. Ma per conservare il potere ai primi crimini se ne devono sommare altri in una trama che girando su se stessa porterà proprio chi li ha compiuti diventarne la vittima...
La tragedia, incentrata su questa potentissima figura di eroe negativo - almeno per buona parte dei tre atti fino alla fine dove riversa esanime sul campo di battaglia - è uno dei capolavori teatrali di tutti i tempi e ha dato vita alla "leggenda nera" che circonda la figura del sovrano inglese esasperando, molto probabilmente, la stessa realtà storica. La tragedia tocca picchi di elevata crudeltà. Tutti coloro che gravitano attorno a quella corona, re, nobili, spose, bambini e parenti, soccombono uno dopo l’altro e nel finale quella corona dalla testa di re Riccardo cadrà a terra e rotolerà lontano dopo aver mietuto molte vittime.
Riccardo III diventa l'emblema stesso della malvagità, dell'egocentrismo e della brama e della cattiva ambizione inducendo gli spettatori a confrontarsi con temi come l'immoralità, la violenza e la crudeltà ma anche la pietà, la compassione e l’orrenda verità che il potere corrompe l’animo dell’essere umano fino a snaturarlo.
Lo stesso Riccardo sarà assediato dai sensi di colpa e tormentato dai suoi crimini esclama «Maledetta sia la mia coscienza!» che lo porterà a dubitare di tutto e di tutti, anche di Henry Stafford, duca di Buckingham, suo fedele alleato nella sanguinosa scalata alla corona, ritenuto un traditore e trucidato per il volere del re. Riccardo III ormai solo, dopo aver ucciso brutalmente i suoi parenti, i suoi alleati, e dopo aver perso la corona e tutto ciò che restava della sua vita, maledicendo se stesso, nella battaglia di Bosworth nel 1485, pronuncia una delle frasi più celebri di tutta la produzione del drammaturgo di Stratford-upon-Avon, «Un cavallo, un cavallo! Il mio regno per un cavallo!».
Grazie, per l’attenzione.

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