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Chi sono io se non sono io?

“Tu non essere geloso: anche se sono un dio, io sono geloso perché ama te, Anfitrione”

Queste le parole di Giove sceso tra i mortali per soddisfare un suo capriccio e resosi conto di quanto sia infinitamente diverso il mondo degli umani; da lassù sembrano piccoli, guerrafondai, invidiosi ma quando ci si avvicina questi uomini sono ricchi di sentimento, di passione e di volontà. Da contraltare il mondo divino sembra vuoto senza capacità di soddisfare i propri desideri; certo loro possono allungare notti, assumere forme diverse, fare viaggi nel tempo ma non riescono a raggiungere la vera felicità che sta in terra e si nutre di vita e di morte: la spaventosa rincorsa verso la fine è il motore degli avvenimenti umani che col tempo tende sempre più a limitare le frivolezze e a concentrarsi sull’essenziale.

Nello spettacolo scritto e diretto da Teresa Ludovico si inscena l’opera plautina di Anfitrione, una tragicommedia interpretata magistralmente da Michele Cipriani, Irene Grasso, Demi Licata, Alessandro Lussiana, Michele Schiano, Giovanni Serratore.

Al centro è posta la personalità dell’individuo messa in discussione dal dio il quale scombina la realtà trasformandosi in uomo e seducendo la dolce Alcmena sposa novella di Anfitrione.

“Chi sono io se non sono io? Quando guardo il mio uguale a me, vedo il mio aspetto, tale e quale, non c’è nulla di più simile a me! Io sono quello che sono sempre stato? Dov’è che sono morto? Dove l’ho perduta la mia persona? Il mio me può essere che io l’abbia lasciato? Che io mi sia dimenticato? Nessuno mi riconosce più e tutti mi sbeffeggiano a piacere. Non so più chi sono!”

Queste sono le domande di Anfitrione dopo il furto della propria identità. Si pone in discussione la personalità dell’individuo formata da certezze frantumabili. Viene mostrato come siamo deboli e soli, in un mondo di ombre e tenebre l’unica cosa che riesce a trametterci sicurezza è il legame con un altro individuo con la sua insicurezza. Così la voglia di scappare da un’esistenza infelice sfocia nella creazione di un mondo fatto con e nostre granitiche convinzioni e con le nostre smanie di superiorità.

Cosicché al senso della realtà viene contrapposto il senso della possibilità, quest’ultimo si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe essere e di non dar maggior importanza a quello che è solo per poter star meglio ma queste speranze vengono eluse dal destino che spesso bussa alla nostra porta riportandoci con i piedi per terra per ristabilire l’ordine delle cose.

Prediletto da Plauto è il ricorso al lieto fine, l’intreccio si risolve in modo favorevole per i protagonisti: Giove riconsegna la personalità ad Anfitrione, il valore di questo è chiaro, le commedie dell’autore romano del terzo secolo a. C. venivano rappresentate al popolo – visto che il genere tragico, considerato aulico, apparteneva ai patrizi – e consentiva di vedere una luce di speranza in una vita piena di privazioni e di rimorsi. Il lascito di Plauto non si esaurisce con il metateatro o con l’eliminazione della parete che separa il pubblico dagli attori, nelle scene, nei dialoghi serrati ma anche nelle invenzioni comiche come quelle di Sosia, servo di Anfitrione, che sulla via di ritorno verso casa è fermato da Mercurio – dio delle trasformazioni – che assume la sua personalità, divenendo il suo sosia una figura al centro delle commedie dei secoli successivi.

Le musiche, interpretate da Michele Jamil Marzella, cercano un contatto con i drammi, le pulsioni e l’interiorità dell’uomo, fanno vibrare le corde della ragione e spingono verso una verità silenziosa, crudele e incombente. Il radong è la tuba tibetana che assume il ruolo di scandire il tempo scenico e di far protendere il suono al di fuori del teatro nelle nostre vite.

Grazie dell'attenzione.

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